http://www.managementnotes.it/Cambia pelle il consumo di prodotti italiani, che diventa sinonimo di capacità di produrre beni e soluzioni personalizzate. Il Sistema di promozione 2.0 deve raccogliere la sfida del cambiamento valorizzando non tanto il Made in quanto il Made by Italy e il ruolo determinante degli Italy followers.
EXPORT (ANCÒRA) ÀNCORA DI SALVEZZA
Il made in Italy ha fatto in tre anni un avanzo record consolidato con l’estero di circa 196 miliardi di euro, nel solo 2013 la meccanica ha dato un surplus di bilancia commerciale di 50 miliardi di Euro. L’unico contributo positivo allo sviluppo, in un quadro di desolante contrazione, è venuto dalle esportazioni (nette): solo nel IV trimestre 2013, il contributo alla crescita del PIL è stato dello 0,3%. Se non ci fossero state le vendite all’estero, il nostro PIL, che è già tornato in termini reali ai valori di 8 anni fa, si sarebbe ulteriormente ridotto. E’ solo un successo del mitico “stellone” italiano? Oppure è cambiato anche il modo di approcciare il mercato ed i consumi dei nostro prodotti?Accanto al dibattito su come tutelare le nostre produzioni (minacciate secondo molti da fenomeni di contraffazione e di imitazione scorretta), accanto alla battaglia in Europa per la tutela del “made in”, dobbiamo prendere atto che sta cambiando pelle il consumo di prodotti italiani.Non possiamo più generalizzare: il made in Italy non è solo “amusement”, ma è soprattutto grande capacità di produrre e offrire soluzioni personalizzate, innovative ed efficienti per i consumatori e le imprese estere, come dimostrato dal fortissimo incremento delle vendite all’estero di beni della meccanica strumentale.GLI ITALY FOLLOWERS E LE COMMUNITIES: NUOVA RISORSA DI BUSINESS
Soluzioni personalizzate e creative inducono a puntare sulla domanda di Italia e non sull’offerta di Italia per costruire un nuovo modo di promuovere il nostro Paese nel mondo. Accanto agli acquirenti tradizionali del prodotto italiano si consolidano sempre più gli Italy followers (che Piero Bassetti definisce “Italici”) ossia comunità di persone (e anche di imprese) per le quali non è italiano solo un prodotto fatto in Italia, ma che risponde ai criteri del tailor made e dell’artigianalità italiana, per quanto possa essere realizzato in misura, più o meno consistente, anche all’estero. Se stimolate, queste community possono rappresentare una risorsa di nuovo business. Questo significa lavorare sull’immaginario, ma anche sui fatti e su quello che l’Italia offre in termini di prodotti, di servizi, di know-how.LA PROMOZIONE 2.0
E qui veniamo al dibattito in atto su come agevolare le imprese che vogliono andare all’estero. Un dibattito che parte da un dato: l’80% e più delle imprese che esportano non ricorre ad oggi a nessun soggetto di riferimento. Fa da sé! Perché non si ricorre ai soggetti di promozione? Perché sono poco noti o perché non rientrano nei canoni del nuovo modo di affrontare il mercato? Quali strategie di promozione devono essere adottate dal Sistema Italia per promuovere i prodotti e il know-how italiani all’estero? Questo per quanto riguarda il lato dell’“offerta” di supporto alle imprese, per così dire, ma se si guarda alla “domanda di Italia”, cosa ricercano i consumatori stranieri? E soprattutto, che fare quando ci si accorge che non esiste un solo “made in Italy” e che magari il prodotto originale potrebbe avvantaggiarsi anche di quello c.d. Italian sounding? Quali nuovi media utilizzare, al di là di strumenti tradizionali (ancora utili) come le presenze fieristiche, le missioni, ecc. per consolidare nelle comunità all’estero una attitudine al consumo di nuovi prodotti? Le politiche di promozione devono sempre più saper coniugare esigenze delle imprese, da un lato, e trend di sviluppo/opportunità offerte dai mercati internazionali, dall’altro. Un lavoro di matching che valorizza il contributo delle community che consumano prodotto “italiano”.Pina Costa