San Lorenzo in Banale, Fatiche nascoste nei muri

Borgo | Il nome Banale ha una radice paneuropea che rinvia a capi e obblighi feudali, ed è la stessa di banlieue, Banato e Banovina nei Balcani. Settima Pieve delle Valli Giudicarie, San Lorenzo ne occupa la porzione occidentale e in passato era chiamato Banale verso Castel Mani, per distinguerlo dal vicino Banale verso Castel Stenico.

 

La Storia

2000 a.C. circa, l’insediamento palafitticolo nella torbiera di Fiavè lascia testimonianze di vita quotidiana e di abilità manifatturiera; intorno al 1000 a.C. una gigantesca frana post-glaciale cambia la geografia della valle del Bondai, dando origine al lago di Molveno. 118 a.C., il console romano Quinto Marcio Re sottomette la popolazione alpina degli Stoni stanziata in zona; le valli Giudicarie sono aggregate al Municipium di Brescia ascritto alla tribù Fabia; il processo di romanizzazione è profondo, come testimonia l’abbondanza in zona di prediali (nomi derivati da nomi rustici romani) e di epigrafi.

774 d.C., le Giudicarie passano dai Longobardi ai Franchi di Carlo Magno. 1027, istituzione del potere temporale del Vescovo di Trento; nel XII secolo viene edificato Castel Mani, rocca vescovile e sede di guarnigione, con l’annesso dazio (il primo documento che ne parla è del 1207); per i successivi sette secoli (fino al 1803), il “Banale verso Castel Mani” sarà un baluardo del potere vescovile, come ricorda lo stemma comunale; oggi ne rimane solo un lembo solitario sull’omonimo colle.

1815, col trattato di Vienna l’ex Principato vescovile è annesso alla Contea principesca del Tirolo. 1848, tredici volontari lombardi sono presi prigionieri a Sclemo e giustiziati sul posto.

1914, scoppia la Grande Guerra: quando l’Italia scende in campo nel maggio 1915, la “meglio gioventù” del Banale e del Trentino è già caduta sui campi di battaglia della Galizia.

1948-1960, fervono i “lavori”, com’è chiamata qui la costruzione del ciclopico sistema idroelettrico Sarca-Molveno-Santa Massenza, che porta a San Lorenzo tecnici e operai da ogni parte d’Italia; con i “lavori” arriva il benessere e insieme lo sconvolgimento dell’idrografia giudicariese e della Valle dei Laghi.

Gli affreschi dei Baschenis tra case rurali e bellezze naturali

Disteso su una soleggiata terrazza verde affacciata sulla valle e sorvegliato alle spalle dalle Dolomiti di Brenta, San Lorenzo è un antico borgo contadino nato dalla fusione di sette Ville: Berghi, Pergnano, Senaso, Dolaso, Prato, Prusa e Glolo. Posto all’imbocco della splendida Val d’Ambièz, il borgo è la porta di accesso al Parco Naturale Adamello Brenta.

La visita alle sette Ville non può che cominciare dalla Casa del Parco “C’era una volta”. Posta nella bella Casa Oséi raccoglie tutta la storia contadina di queste terre. Il vicino teatro comunale è un’antica chiesa sconsacrata e restaurata per volontà degli abitanti, dove la spiritualità dell’arte si confonde con quella della religione. Siamo ancora a Prato. Le sta vicino Prusa, la Villa più in basso. Cattura lo sguardo Casa Mazoleti, perfetto esempio di architettura rurale: a piano terra cantine e stalle, al primo piano cucina e stanze, al terzo e quarto piano le aie coperte e i depositi di fieno, e i piani di sottotetto per l’essicazione della paglia accessibili dai “pont”, le rampe carrabili. Arricchita da un loggiato ad archi e da una luminosa meridiana, fa da sfondo in autunno alla sagra della ciuìga.

In senso antiorario, si arriva a Glolo, in posizione privilegiata come “ancella” del Castel Mani, il cui nome in dialetto (“Grol”) è ripetuto dai bambini quando invitano le lumache a buttar fuori i loro cornetti. Attraversata la statale 421, ecco Berghi (da Berg, “monte”) da dove passa la selciata “via Caváda”, segnata dai solchi paralleli lasciati dalle slitte. La chiesetta del Seicento è dedicata a Santa Apollonia.

A fianco, la splendida dimora rurale Casa Martinoni. Le sue imponenti dimensioni hanno fatto supporre che un tempo fosse un convento, voce forse alimentata dal luogo in cui sorge, chiamato “dos dei frà”, colle dei frati. Poco più avanti Casa Moscati, sapientemente ristrutturata. Da Berghi si arriva a Pergnano, distesa al sole. La chiesetta dedicata ai santi Rocco e Sebastiano contiene affreschi dei bergamaschi Baschenis di Averaria, godibili per luminosità e freschezza: una pittura di facile lettura, pochi colori ma di grande effetto cromatico. Da Pergnano a Senaso, la frazione meglio conservata e per la quale è stato impostato un impegnativo progetto di riqualificazione. La Villa è carica di memorie di malgari e di casari, di cacciatori di mestiere e di esperti confezionatori delle ciuìghe. E’ qui che resiste al tempo la tradizione dell’affumicatura artigianale di questo salume: avviene ogni autunno nell’affumicatoio, all’interno del vecchio caseificio turnario. La chiesa di San Matteo ha conservato l’antico sagrato, mentre Casa dei Sartorei è una preziosa testimonianza di abitazione rurale, con gli originali graticci dei fienili e il maestoso portale d’accesso all’ex stalla. Per Dolaso, il settimo borgo, si tira dritto sulla strada della Val d’Ambiéz. Dopo poche centinaia di metri, passato un prativo chiamato “le Braile” (termine longobardo per designare un’estensione in piano) si arriva al capitello che un certo Marin Cornela fece costruire nel Settecento “per sua devocione” dedicandolo alla Madonna.

Nel borgo sono dodici i capitelli che offrono sollievo

alle preoccupazioni. Tornando sui nostri passi, scendiamo a Dolaso, borgo per conto suo, con campagne un tempo coltivate e feconde. Quante piccole patrie in giro per il mondo ripongono i loro pensieri in queste case, un tempo dai tetti di paglia, periodicamente devastate dal fuoco – un esempio Casa Bosetti ricostruita nel 1927, dopo l’incendio del ’26 che distrusse Dolaso - e sempre ricostruite a nascondere le fatiche degli uomini, in fila dietro la chiesa di Sant’Antonio Abate, con la piazzetta che è un belvedere sulle cime del Bondone. Nello stemma di San Lorenzo non hanno trovato posto gli insediamenti a valle della frana da cui nacque il lago di Molveno, Le Moline e Deggia. Le Moline erano operose di fucine e di mulini. Prima del 1921, quando i genieri tagliarono le pareti calcaree che la sovrastano, ci passava la strada principale, c’erano la scuola e le osterie per i carrettieri. Ora guarda scorrere il torrente Bondai.

Deggia è più serena, distesa sul poggio sovrastante. Il vicino santuario della Madonna di Caravaggio, edificato alla fine dell’Ottocento con le rimesse degli emigrati, in stagione profuma di fiori di tiglio.

Il prodotto del borgo

Di necessità virtù. Di pura necessità si trattò quando nella seconda metà dell’Ottocento, in un clima di grandi ristrettezze, in questo borgo si inventarono la ciuìga, un singolare salame con le rape confezionato secondo tradizione solo ed esclusivamente a San Lorenzo in Banale.

Unica e inimitata, la ciuìga è oggi presidio Slow Food. Confezionata originariamente con soli scarti di maiale, in proporzione del 20%, e con abbondanza di rape bianche cotte e tritate, ai giorni nostri vanta invece il 70% di carni suine scelte e soltanto il 30% di ortaggi. Quel che basta però per conferirle un sapore deciso, pungente e davvero unico. Inconfondibile, come la forma piccola e allungata, simile a una pigna di conifera… quella che in dialetto locale si chiama appunto ciuìga.

L’autunno è la sua stagione, quando si uccide il maiale e quando nei campi maturano le rape. E’ in questo periodo che i pochi, abili macellai del Banale sciorinano golose catene di ciuìghe L’occasione per degustarle e acquistarle battendo tutti sul tempo è la Sagra della ciuìga.

Il piatto del borgo

La cucina del borgo è sobria, come conviene ad una gente che aveva eletto a regola di vita il detto “pigro a mangiare, pigro a lavorare”. La naturalezze e la semplicità non hanno mai lasciato queste plaghe. Riscattato il suo passato di povertà, la ciuìga è oggi una vera prelibatezza, da gustare al naturale, rielaborato in gustosi sughi, abbinato a patate lesse e cicoria oppure puré di patate e “capusi” (cavolo-cappuccio), adagiato su fette di pane leggermente tostato e imburrato e persino affettato sulla pizza. Altre golosità: gnocchi di patate con le comendole (spinacio di montagna), le fojade (tagliatelle) al sugo di capriolo, polenta de formenton, torta di latte, dessert allo sciroppo di corniole.