Borgo | Le località che hanno per nome “Civitella”, volgarizzazione di civitas, rivelano sempre origini antiche: in questo caso forse da una città federata dei Romani. L’eponimo “Tronto” si riferisce all’importante fiume delle Marche, che nasce in Abruzzo.
La Storia
IX-X sec., la nascita del borgo è fatta risalire al periodo dell’“incastellamento”, quando, per sfuggire alle razzie barbariche, le popolazioni cercavano luoghi meglio difendibili, come lo sperone roccioso su cui è sorta “Tibidella”: così il posto risulta chiamarsi, in latino pedestre, in un rogito notarile del 1001.
1069, si ha notizia che il nobile Gualtiero è rinchiuso dal conte di Loretello nel carcere di Civitella: segno dell’esistenza di una prima struttura fortificata che, da castello e rocca, si trasformerà poi, alla fine del XIII sec., in munita fortezza: così vogliono infatti gli Angioini, posizionando a pochi km da qui il confine fra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio.
1443- 1516, dominazione aragonese.
1557, l’assedio posto da Francesco di Lorena, duca di Guisa e maresciallo di Francia, pone in rilievo le potenzialità della fortezza, che rimane inespugnata; nel 1559 il Re di Spagna Filippo II attribuisce a Civitella l’appellativo di Fedelissima, esentando dal pagamento delle tasse per quarant’anni le famiglie con moglie civitellese; gli spagnoli demoliscono le preesistenti fortificazioni angioine e aragonesi, ormai superate dalle nuove tecniche militari d’assedio che prevedono l’uso dei cannoni, e ricostruiscono la fortezza così come ci appare oggi.
1734, dalla dominazione asburgica si passa a quella borbonica, che durerà fino all’Unità d’Italia nel 1861.
1806, dopo quattro mesi di assedio l’armata napoleonica riesce a far capitolare l’esiguo presidio borbonico guidato dal maggiore irlandese Matteo Wade, al quale i Borboni dedicheranno in seguito un monumento.
1860-1861, Garibaldi con l’approdo siciliano favorisce la caduta borbonica e tutta l’Italia è percorsa da moti insurrezionali e sentimenti unitari; solo Civitella, la “Fedelissima”, al grido di “viva Francesco, morte a Vittorio Emanuele” oppone un’ostinata resistenza alle truppe piemontesi; la fortezza cade il 20 marzo 1861 ed è l’ultima roccaforte a togliere la bandiera gigliata dei Borboni, quando erano già cadute le piazze di Messina e Gaeta.
Strette “rue” e spesse mura
Un cucuzzolo guerriero sospeso tra mare e monti: questo sembra Civitella del Tronto. Elevato su un possente masso granitico sulla strada che congiunge Ascoli e Teramo, il borgo è capace di stupire in ogni stagione, sia quando i boschi sui fianchi dei monti s’incendiano di colori decisi, sia quando l’inverno spruzza di neve le tegole. Panorami tersi e infiniti incorniciano i resti della cerchia muraria del XIII secolo che caratterizza questa città-fortezza, baluardo settentrionale del Regno di Napoli al confine con lo Stato Pontificio.
Cominciamo dunque la visita dalla Fortezza, edificata dagli spagnoli nella seconda metà del XVI secolo e incastonata in cima al paese come un’acropoli. Importante opera d’ingegneria militare, con i suoi 500 metri di lunghezza e 25mila metri quadri di superficie è tra le fortificazioni più grandi d’Europa. Il ponte levatoio, i bastioni, i camminamenti, le piazze d’armi, gli alloggiamenti militari, le carceri, le polveriere, i forni, le stalle, le cisterne, il palazzo del Governatore, la chiesa di San Giacomo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. La sentinella del Regno di Napoli faceva anche da guardia al sottostante borgo, dove oggi pacificamente ci si può perdere nelle stradine – chiamate alla francese “rue” – tra le quali pare vi sia la più stretta d’Italia: la “ruetta”. Il passaggio dei lapicidi comacini e lombardi - i “magistri vagantes” già distintisi nell’Ascolano – ha lasciato nelle robuste architetture degli elementi ricorrenti che le rendono più gentili. Tra gli edifici di culto, è da vedere innanzitutto la Collegiata di San Lorenzo della fine del XVI secolo, a croce latina e con la facciata a doppia coppia di lesene trabeate; all’interno custodisce notevoli dipinti del XVII secolo. Quasi contemporanea è la chiesa di San Francesco, recentemente restaurata, con la sua torre campanaria, il pregevole rosone della facciata, l’interno barocco, il coro ligneo del Quattrocento. La piccola chiesa di Santa Maria degli Angeli è detta anche “della Scopa” per via della Confraternita che vi s’insediò; risale al XIV secolo, è affrescata e accoglie una scultura lignea del Cristo morto di grande pathos. Quanto agli edifici civili, spicca su tutti il Palazzo del Capitano del XIV secolo, che mostra in facciata le cornici marcapiano finemente intagliate a soggetto naturalistico con lo stemma degli Angiò. Infine, il monumento funebre di Matteo Wade in marmo di Carrara del 1929, in Largo Rosati. Fuori le mura, merita una visita il Convento di Santa Maria dei Lumi, così detto per i misteriosi avvistamenti di luci, eretto nella prima metà del Trecento dai francescani e ancora condotto dai Conventuali, con all’interno l’effige in legno policromo e dorato della Madonna, della seconda metà del Quattrocento, e il chiostro conventuale. Il complesso abbaziale di Montesanto, tra i primi centri benedettini d’Abruzzo (VI secolo) è posto su un colle a coronamento del borgo.
Il prodotto del borgo
Oltre che per l’artigianato locale (ferro battuto, legno tornito e ceramica) Civitella è nota per essere un paradiso di sapori. Salumi, formaggi, patate, legumi, olio e biscotti, ma anche tartufi neri, funghi e cinghiale, sono a disposizione dei buongustai.
Il piatto del borgo
Da una cucina essenziale, tanto negli ingredienti quanto nelle preparazioni, com’è naturale in un ambiente militarizzato, proviene un piatto originale, le ceppe: sorta di maccheroni ottenuti all’inizio con un impasto di sole farina e acqua, cui nel tempo si sono aggiunte le uova. Il nome fa riferimento al bastoncino - la “ceppetta”, oggi sostituita da un fil di ferro - intorno alla quale si avvolgevano piccole porzioni d’impasto per poi sfilarle in forma di maccheroni. Un buon ragù, e la magia è in tavola. Tra i secondi piatti, il filetto alla Borbonica prevede una fetta di pane e una spessa fetta di carne, mozzarella e acciughe, il tutto insaporito dal vino marsala; lo spezzatino (o il pollo) alla Franceschiello è fatto con pollo, agnello, salsa, piccante, sottaceti e vino bianco.
Fonte: Club I borghi più belli d'Italia, 21 maggio 2010