Brisighella, sui colli fra nebbie e ginestre

Borgo | Il Nome, nei documenti antichi sono varie le grafie - da Braxeghella a Brissichella e dal 1550 Brisighella - così come diverse sono le interpretazioni del toponimo.

 

Alcuni studiosi lo collegano alla base celtico longobarda Brix (luogo scosceso); altri propongono il tardo latino Brisca (terra spugnosa) e altri ancora ritengono che derivi da Brassica (cavolo), una pianta spontanea diffusa in passato nella zona.

La Storia

1290, Maghinardo Pagani da Susinana erige a scopo difensivo, contro i Manfredi di Faenza, una piccola rocca su un pinnacolo di gesso all'imbocco della valle del Lamone.


1310, i Manfredi, occupato il territorio, erigono una rocca, più ampia e munita, su un secondo vicino picco di gesso; ai piedi della rocca si forma il borgo che mezzo secolo dopo conta circa 200 abitanti.
1410, la valle del Lamone è eletta contea con capoluogo Brisighella, che si dota di propri statuti.
1503, dopo una breve occupazione da parte di Cesare Borgia, Brisighella cade sotto il potere dei Veneziani che rinforzano la rocca dotandola di un imponente torrione e di una forte guarnigione.
1509, nonostante gli apparati di difesa, Brisighella nulla può contro le truppe del Papa che saccheggiano il borgo e la rocca. A parte la breve parentesi napoleonica, dal 1509 fino al 1860 Brisighella appartiene allo Stato Pontificio. Un lungo periodo senza grandi sconvolgimenti che consente un forte progresso economico e sociale grazie alla produzione di sete pregiate, carbone di legna, castagne (marroni) che attraverso i mercanti veneziani arrivano fino in Oriente. Anche i manufatti di lana, in particolare i berretti, molto richiesti sui mercati di Firenze e Bologna, e i prodotti della terra, come l'olio d'oliva, contribuiscono alla prosperità del borgo, che con il tempo si espande al di fuori delle mura.
1860, con la sconfitta degli Austriaci, Brisighella, come tutta la Romagna, passa all'Italia.
1944-45, il luogo è teatro di violenti scontri tra le truppe partigiane e i nazifascisti. Il 10 aprile 1945 lo sfondamento della linea difensiva tedesca sul fiume Senio apre alle forze alleate la strada verso la pianura padana.

Mezzelune di sguardi nell'antica via sopraelevata

Il borgo è addossato a una rupe gessosa e sovrastato da tre scogli di selenite sui quali si ergono la Rocca, la Torre dell'Orologio e il Santuario del Monticino.

Sul lato opposto era difeso da due linee concentriche di mura ancora percepibili nelle abitazioni che le hanno inglobate.

All'interno della parte storica, l'atmosfera medievale è conservata nel saliscendi di strade e viuzze, negli edifici maestosi come nelle case basse e arroccate, nei vicoli in ombra, negli angoli nascosti, nelle piazze e nei cortili animati nei giorni di festa e di mercato.
Il cuore del borgo, magico nella quiete notturna, è piazza Marconi, sulla quale si affacciano Palazzo Maghinardo, sede del municipio, e l'originalissima Via del Borgo, detta anche Via degli Asini. Si tratta di una strada sopraelevata, coperta, illuminata da archi a forma di mezzaluna di differente ampiezza, unica al mondo. Nata nei secoli XII e XIII come baluardo di difesa, in seguito fu utilizzata dai birocciai che abitavano nei locali sovrastanti per il trasporto del gesso a dorso d'asino dalle cave poste nella valle circostante. Questi lavoratori avevano i "cameroni", cioè le stalle per le bestie, di fronte agli archi, mentre le loro abitazioni erano poste nel piano superiore. I carri da trasporto (birocci) erano collocati invece nella piazza sottostante.

Sovrasta il borgo la Torre dell'Orologio, che fu il primo baluardo di difesa, risalente al 1290. Ricostruita nel 1548, venne danneggiata più volte e ridimensionata nella forma attuale nel 1850. Oggi è sede del Museo del Tempo.

Nel vicinissimo scoglio di selenite si erge la Rocca manfrediana, sorta per il controllo della valle del Lamone. Il complesso di questa fortezza si compone del cosiddetto Torrione veneziano (inizi sec. XVI) e del trecentesco Torricino, edificato dai Manfredi di Faenza.

Oggi, riportata a nuovo splendore, la Rocca costituisce un pregevole esempio dell'arte militare del Medioevo. Attualmente è sede del Museo della Civiltà Contadina. Dagli spalti della fortezza si ammira un bellissimo paesaggio, così come dal Santuario del Monticino, risalente al XVIII secolo, posto sul terzo colle, un tempo noto come Calvario. Da lì, la vista spazia sul borgo sottostante e sull'intera valle, fino ai confini con la Toscana.

All'interno dell'abitato, appena fuori dell'antica linea delle mura, si trova la Collegiata dedicata a S. Michele Arcangelo e ultimata nel 1697. La facciata, modificata di recente, è impreziosita da un portale in bronzo, opera dello scultore Angelo Biancini. All'interno si possono ammirare il crocifisso scolpito in legno d'olivo del sec. XVI e l'altare in scagliola policroma di gusto neo-barocco dedicato alla Madonna delle Grazie, rappresentata in una tavola lignea del XV sec. La Collegiata conserva anche una magnifica adorazione dei Magi, tavola dagli squillanti colori del pittore forlivese Marco Palmezzano (sec. XVI) proveniente dall'antica Pieve di Rontana.

Al limitare dell'abitato, lungo la strada che porta a Firenze, sorge l'Osservanza, eretta nel 1525 in nome di Santa Maria degli Angeli. All'interno sono conservate ceramiche di validi artisti e una Pietà del brisighellese Giuseppe Rosetti, detto il Mutino (1864-1939). La chiesa è ricca di stucchi del 1634 e sopra l'altare maggiore esibisce una bella tavola del Palmezzano.

Proseguendo lungo la strada per Firenze, troviamo, poco fuori il paese, la Pieve del Tho. Le sue origini sono comprese tra VIII e X secolo. È dedicata a S. Giovanni Battista ed è detta in Ottavo, o più brevemente del Tho, perché collocata all'ottavo miglio della strada romana che congiungeva Faenza con la Toscana. E' un affascinante edificio in stile romanico, a pianta basilicale, a tre navate, divise da archi che poggiano sopra undici colonne di marmo grigio e una di marmo di Verona, molto diverse fra loro come spessore e larghezza (forse di materiale di reimpiego di un preesistente tempio dedicato al dio Giove Ammone). Un miliare romano, un paliotto in arenaria del sec. VIII, affreschi dei secoli XIV-XV-XVI, un capitello corinzio (acquasantiera) del primo secolo d.C. testimoniano la complessa storia di questo importante luogo di culto.

Il prodotto del borgo

Se il prodotto principe è rappresentato dall'olio extravergine di oliva che si fregia della Dop europea, non possiamo dimenticare il formaggio conciato con stagionatura nelle grotte di gesso, la carne di Mora romagnola (un'antica razza suina autoctona) e il carciofo Moretto, tipico della zona dei calanchi.

Il piatto del borgo

E' una vera prelibatezza da cardinale: su una sfoglia di pasta fresca all'uovo viene steso un velo di ripieno - da qui il nome popolaresco di spoja lorda - a base di ricotta, raveggiolo, parmigiano, uova, noce moscata.

La sfoglia viene quindi ripiegata su se stessa, compressa e tagliata a quadrucci da cuocere nel brodo di manzo e gallina.