Roseto Valfortore, Roseto Valfortore, dalla rosa alla pietra

Borgo | Anticamente chiamato Rosito, prende nome dall’abbondanza di rose selvatiche nel suo territorio. L’aggiunta di Valfortore va riferita al fiume Fortore che nasce ad est del paese e ne solca la valle.

 

La Storia

I sec. d.C., un cippo funerario in lingua latina testimonia la presenza della civiltà romana.


752, compare per la prima volta il nome “Rosito” nel documento con il quale il duca longobardo Liutprando decreta la libertà per la schiava Cunda e il figlio Liupergo.
1122, dopo essere appartenuto sotto la dominazione normanna alla Contea di Ariano, Roseto passa a Guglielmo il Guiscardo, duca della Puglia, in seguito a un riuscito assalto.
1294, Bartolomeo I Di Capua s’insedia nel feudo di Roseto al posto del D’Assimial che l’aveva ricevuto da Carlo d’Angiò dopo la presa di Lucera.
1338, il feudo di Roseto con quello di Vetruscelli è assegnato a Roberto Di Capua.
1497, Bartolomeo III, ricevuta la conferma feudale dal Re di Napoli Ferdinando il Cattolico, porta il borgo al massimo splendore. La decadenza comincia con Giovanni, l’ultimo dei Di Capua, che vende Roseto a Ferrante Lombardo di Troia.
1640, dai Lombardo il feudo passa ai Brancia.
1655, Giuseppe Saggese di Foggia acquista il feudo che rimane alla sua famiglia fino agli inizi dell’Ottocento.
1848, Roseto partecipa attivamente ai moti risorgimentali e vive poi l’avventura garibaldina con spargimento di sangue.
1882, comincia l’esodo verso gli USA dove nel 1912, in Pennsylvania, gli emigranti di Roseto danno vita a un nuovo paese oltre Oceano, facendolo entrare nel novero dei Comuni d’America.
1946, dopo il secondo conflitto mondiale riprende il flusso migratorio, questa volta verso il Canada. Roseto si spopola: dai 5400 abitanti del 1946 passa ai 1300 di oggi.

Il paese degli scalpellini

Adagiato su uno scosceso pendio della valle del Fortore, il borgo di Roseto si presenta sufficientemente ben conservato, come un piccolo scrigno di ricordi dell’arte locale degli scalpellini. L’impianto urbanistico è di derivazione medievale e le viuzze si lasciano percorrere passo dopo passo in tranquillità, accogliendo i profumi e gli scorci di verde del vicino bosco Vetruscelli. Non potrebbe essere altrimenti, per un paese che prende nome dalla rosa canina e che le rose, oltre ad averle nello stemma, le coltiva anche lungo la strada principale.

I vicoli (stréttole) del centro storico di Roseto partono tutti da Piazza Vecchia. Sono disposti secondo una tecnica di costruzione longobarda: a uno più largo su cui si affacciano le scalinate delle abitazioni, si alterna uno più stretto che funge da raccoglitore di acqua piovana. In fondo a ogni vicolo c’era una porta che veniva chiusa al tramonto, a protezione del borgo.

Adiacente alla Piazza Vecchia sorge maestosa la Chiesa Madre, costruita dal feudatario Bartolomeo III Di Capua nel 1507. E’ da ammirare la balaustra, scolpita in pietra locale da artisti rosetani. Con la stessa pietra sono scolpiti i due sarcofagi gentilizi che la tradizione associa ai nomi di Tuleje e Mmaleje. Di fronte al lato sinistro della Chiesa Madre si nota il Palazzo Marchesale, anch’esso voluto da Bartolomeo III. Di fronte alla scalinata principale della Chiesa Madre c’è l’arco della Terra che serviva da porta principale. In un angolo del muro esterno che sovrasta l’arco, si scorge una testa lapidea che forse raffigura uno dei feudatari di Roseto. Sicuramente su di essa veniva alzata la bandiera nei giorni in cui il feudatario amministrava la giustizia.

Nel 1623 l’arciprete De Santis portò a Roseto il culto di San Filippo Neri, diventato poi il patrono del paese. Nella sua abitazione, trasformata in oratorio, si conserva un prezioso busto d’argento del santo.

Al centro del borgo si trova la chiesa del SS. Corpo di Cristo, importante luogo di culto nei secoli XVIII e XIX. Restaurata e ribattezzata col nome di Cristo Re, ora risulta sconsacrata.

L'opera degli scapellini rosetani rappresenta il patrimonio artistico più importante del paese. Portali, colonne, bassorilievi sono stati realizzati da maestri che per secoli hanno lavorato la pietra della locale cava, situata a sud del borgo.

Il territorio è ricco di sorgenti d’acque e zampillanti fontane, di mulini ad acqua, di aree da picnic, di orologi e meridiane, tra cui un orologio meccanico, molto antico, il cui quadrante è opera di artisti locali (si trova sul campanile della Parrocchia) e una meridiana che abbellisce il fronte della Chiesa di Santa Maria Lauretana.

Il prodotto del borgo

La grande quantità di fiori e il tartufo nero che abbonda nei boschi fanno di Roseto la “città del miele e del tartufo”. Una denominazione di cui questo borgo dell’Appennino Dauno si fa vanto e che contribuisce alla considerazione in cui è tenuta la sua gastronomia, ricca di cibi semplici e genuini, come il pane, che è buonissimo, e i dolci.

Il piatto del borgo

Sono i “cecatédde ch’i tanne checuzze”: cavatelli fatti con farina di grano duro, germogli teneri della pianta di zucchine, un sughetto di pomodori freschi e un po’ di “peperenòle”, polvere acre di peperoncini essiccati. Questo piatto ha vinto un concorso gastronomico nella Daunia.