Borgo | Fu la romana Matilica con gli abitanti Matilicates, noti da varie fonti classiche, tra cui Plinio nelle Naturalis Historia III 105,113. Il nome è molto antico, ma non consente etimologie plausibili.
La Storia
Dopo i recenti studi promossi dalla Soprintendenza Archeologica delle Marche, abbiamo potuto ricostruire alcuni aspetti dell'origine picena di Matelica. Sappiamo con certezza che, nel comprensorio della città, le prime tracce d’insediamento umano risalgono alla preistoria. Soltanto nell’età del ferro, VIII secolo a.c., si hanno notizie più precise, in questo periodo si sviluppa anche la civiltà picena, ma un centro abitato con caratteristiche di tipo urbano non si è ancora sviluppato. La città vera e propria sorge soltanto con la nascita del Municipium, I secolo d.c. La città occupava allora, quasi per intero, la superficie dell’attuale centro storico.
Non conosciamo molto dell’epoca medioevale. Uno dei più importanti storici matelicesi, Camillo Acquacotta, è riuscito a ricostruire alcuni episodi che vanno dalla guerra gotica alla nascita del Comune. Il Comune s’affermò intorno al 1150, quando i matelicesi riuscirono ad affrancarsi dal Conte Ottone, l’antico feudatario di nomina imperiale.
Nel 1394 gli Ottoni ripresero il potere, ottenendo dal pontefice il vicariato sulla città e lo manterranno fino al 1578. La Signoria modificò radicalmente l’urbanistica della città: furono realizzati magnifici edifici rinascimentali e furono favorite le attività industriali: nel 1500 erano presenti più di centododici lanifici. Nel 1640 gli Ottoni non ottennero più il vicariato e Matelica tornò al diretto dominio pontificio e fu governata da un Governatore di nomina papale. Il centro continuò ad arricchirsi di nuovi e più grandi edifici religiosi e civili. Con l’annessione al Regno d’Italia, la latente crisi economica si manifestò apertamente. L’industria dei panni lana si dissolse quasi completamente; restarono attive alcune piccole concerie. Soltanto nel secolo appena concluso l’economia è ritornata ad espandersi. Nell’immediato dopoguerra sono stati aperti nuovi opifici industriali e qualche anno dopo, grazie anche alla presenza di Enrico Mattei, sono nate importanti industrie di confezioni e calzaturiere. Di questa nuova ricchezza ne ha giovato anche l’agricoltura che si è specializzata nella viticoltura e nell’allevamento. Di conseguenza la città è cresciuta e l’edilizia privata è uscita dal centro storico e si è diffusa nel territorio immediatamente vicino ad esso.
Oltre la Piazza
Dopo aver percorso un breve tratto di Corso V. Emanuele, si giunge in una piccola piazzetta dominata dalla facciata della Cattedrale e dalla mole del campanile, posto al centro della facciata. L’edificio è stato ricostruito e restaurato più volte e il campanile da dietro una piccola chiesa si è trovato al centro della facciata di una grande cattedrale. Dell’edificio barocco sono rimaste soltanto due belle cappelle che fiancheggiano l’altare maggiore.
Usciti dalla chiesa imboccare l’arco sulla destra e poi vicolo Orti. E’ questa una zona ricchissima di palazzi rinascimentali, molto belle le facciate posteriori del Palazzo Campanelli, del Palazzo Bracci e Monti de Luca, arricchite da graziose loggette aeree.
Al termine della discesa, seguite le indicazioni per la vicina Piazza San Francesco.
Questo spazio è dominato dalla facciata del Palazzo Finaguerra, in fondo si innalza la bella facciata a mattoni di San Francesco. L’aspetto attuale è dovuto al restauro seicentesco. Le cappelle laterali meritano un’attenta visita: conservano opere di Ercole Ramazzani, Eusebio da San Giorgio, Marco Palmezzano, Simone e Giovanni Francesco de Magistris, Durante Nobili.
San Filippo 1655 – 1660, interamente edificio barocco. Bellissimo organo sulla controfacciata, dipinti del Savonazzi, del Brandi e del Ghezzi. Da non perdere la straordinaria sagrestia ellittica.
A pochi passi si erge la chiesa di San Giovanni Decollato, attualmente chiusa, progettata dall’architetto Calderari nel 1733. E’ uno degli esempi più belli di rococò marchigiano.
Alla fine della via, con facciata su via Sant’Adriano c’è la chiesa intitolata a San Valentino e Santa Teresa. L’interno in forme barocche è dominato dall’altare maggiore circondato da tre grandi tele con storie di Santa Teresa attribuite ad autori della scuola del Solimena.
Il prodotto del borgo
Il Verdicchio di Matelica DOC ed altri prodotti tipici
In questa singolare vallata, compresa tra il Monte San Vicino ad est, la catena dei Monti Sibillini a sud, caratterizzata dalle bizzarrie del fiume Esino, si estende la zona di produzione del Verdicchio DOC di Matelica. L’ottima esposizione dei vigneti, la costante ventilazione, la luminosità ed il calore contribuiscono a costruire un ambiente ottimale per il ciclo vegetativo della vite. La sapiente opera dei produttori, mirata all’esaltazione della “tipicità”, unitamente all’uso delle più moderne tecnologie di vinificazione, hanno portato il Verdicchio di Matelica ai livelli più alti dell’enologia nazionale. Il Verdicchio di Matelica all’olfatto è fragrante, fruttato e floreale; vi si riconoscono sentori di mela e di fiori come il biancospino e la ginestra. Al gusto è fresco, sapido, caldo, morbido e decisamente di corpo, con un retrogusto di persistente di mandorla amara. Vino di grande personalità, si presta alle necessità di tutto il pasto; ottimo nella versione spumante come aperitivo; nella gastronomia è particolarmente indicato negli abbinamenti con gli antipasti magri, o di pesce, pastasciutte e risotti, secondi piatti a base di pesce. Nella versione passito ottimi gli accostamenti a formaggi pecorini stagionati e dolci a pasta non lievitata.
Ma Matelica non è solo Verdicchio!! La particolare morfologia del territorio ha sempre offerto un habitat adatto all’allevamento degli animali ed anche oggi non è casuale vedere al pascolo i bovini della pregiata razza Marchigiana, o gli ovini della “razza fabrianese”.
Un discorso a parte meritano i suini. Sebbene siano del tutto sparite le razze autoctone, il gusto per la tradizione è rimasto anche nella produzione industriale.
Il turista non deve perdere l’occasione di assaggiare il “Ciauscolo”, gustosissimo salume da spalmare, o il salame “Lardellato”.
Dolcissimo e profumatissimo il miele “Millefiori”, caratteristico in questa zona per la molteplicità dei fiori presenti.
Il piatto del borgo
Al ristorante potrete trovare molti piatti della tradizione contadina; tra i primi piatti spiccano i “Vincisgrassi” e le “Tagliatelle della trebbiatura”. Tra i secondi piatti, oltre il “coniglio in porchetta” e “pollo in potacchio”, la classica “coratella d’agnello”.
Per quanto riguarda i dolci , “la crescia fojata”, uno strudel ricco di noci, uva secca, fichi secchi e mele; “la frustenga”, tra i cui ingredienti annovera la dolcissima “sapa”, mosto d’uva condensato ed infine la bianca, friabile e leggerissima “ciambella di Pasqua”.
Fonte: Club I borghi più belli d'Italia, 12 luglio 2010