Borgo | Il toponimo del castello sembra trarre origine dall'antica famiglia riminese dei Gridolfi che a partire dal XIII secolo si stabilì sulle colline tra la Romagna e le Marche.
Come altre nobili famiglie guelfe cittadine, in età comunale i Gridolfi si schierarono dalla parte della Chiesa, così che secondo alcuni storici Monte Gridolfo sarebbe la trasformazione dell'originario nome del luogo, Monte Guelfo, oppure di Monte Loro, monte dell'alloro.
La Storia
• 535-553 d. C., la guerra gotica (tra ostrogoti e bizantini) spinge le popolazioni della parte bassa della vallata del Conca a ritirarsi sui colli dell'immediato entroterra.
• 1148, la prima notizia certa su Montegridolfo riferisce la sua appartenenza all'Abbazia di S. Pietro di Rimini.
• 1233, il sindaco di Montegridolfo, Pasitto, giura fedeltà al Comune di Rimini, entrato in guerra con Urbino per questioni di confini.
• 1288, il castello di Montegridolfo è assalito dalle milizie dei vicini Comuni di Mondaino e Saludecio: la cronaca riferisce l'"abbruciamento di libri e di paramenti sacri, e furono insieme rubate e guaste case, cantine, e selve".
• 1336, il castello è di nuovo saccheggiato: questa volta non a causa delle lotte tra i Malatesta e i Montefeltro, ma per scontri interni alla stessa casata malatestiana. Ma se Ferrantino Novello distrugge, l'anno dopo Galeotto Malatesta ricostruisce, e nel 1338 circonda lo stesso castello di nuove alte mura, rafforzate con quattro poderosi torrioni, con grande soddisfazione degli abitanti. In quest'epoca dentro le mura castellane vivono circa 250 persone.
• 1445, Montegridolfo passa ai Montefeltro di Urbino e poi ritorna ai Malatesta. Dopo la disfatta di Sigismondo Malatesta (1462) e altre vicende, nel 1502 ricade sotto il dominio dei Borgia e in seguito della Repubblica di Venezia, fino ad entrare definitivamente nell'orbita della Chiesa.
• 1769, frate Lorenzo da Montegridolfo diventa papa con il nome di Clemente XIV.
• 1849, con la proclamazione della Repubblica Romana, Montegridolfo recupera la sua funzione di baluardo, così come nel 1944, durante lo sfondamento anglo-americano della "Linea Gotica".
Il più femmineo S. Sebastiano della storia dell'arte
Mentre oltrepassiamo la torre d'ingresso al castello, possiamo dire di sentirci - non sembri esagerato il paragone - come Dante all'entrata in Paradiso: "rifatti sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda puri e disposti a salire a le stelle". Infatti il castello dei Malatesta, che racchiude l'intero borgo, si presenta con un perfetto restauro, dove ogni cosa è al posto giusto (e come, forse, non è mai stata). Eppure l'impressione è che non si sia persa del tutto la vita che qui c'era dentro, testimoniata dalle numerose opere d'arte ed evocata da queste forme "nuove" rimodellate sulle antiche.
Il microcosmo di borgo-castello appare così in tutta la sua suggestione poetica: basta passeggiarvi all'interno, soffermarsi sui particolari architettonici o, nelle lunghe sere estive, "salire a le stelle" che punteggiano il cielo, e poi, dalla parte di levante, guardare giù verso il mare di Pesaro.
L'impianto urbanistico è rimasto quello medievale: il terrapieno è circondato da forti mura fiancheggiate da torrioni e dentro le mura vi sono strette stradine su cui si affacciano i principali edifici e le casette, oggi utilizzate per le vacanze ma anche come residenza principale.
Il palazzo del Municipio si trova accanto alla torre portaia, mentre palazzo Viviani, l'antica dimora dei signori del castello, è oggi un attraente albergo-ristorante. La cappellina Viviani è quanto resta della duecentesca chiesa di S. Agostino distrutta nel 1336 da Malatesta Guastafamiglia.
Ai piedi delle mura castellane sorge la piccola chiesa di S. Rocco, costruita nel 1427 e dotata di un bel portale a ogiva di ispirazione gotica. Custodisce una splendida tela di Guido Cagnacci, il maestro riminese della seduzione, uno dei protagonisti del Seicento.
Il quadro appartiene alla sua fase giovanile (1617-23) e raffigura la Madonna col Bambino adorata dai Santi Rocco, Giacinto e Sebastiano, dove quest'ultimo ha così curiose fattezze femminili, per la posa e lo splendore della carne, che sembra uno scherzo o uno sberleffo all'iconografia mistica (siamo in Romagna, in fondo). Interessanti anche gli affreschi, uno di anonimo marchigiano (XV sec.) e l'altro attribuito a Girolamo Marchesi da Cotignola (1520-25).
Verso valle s'incontra la chiesa di S. Pietro, di origine antichissima ma ricostruita dalle fondamenta dopo i danni della seconda guerra mondiale: conserva un bell'affresco di anonimo del XV sec. Infine, in località Trebbio (da trivium, luogo privilegiato per gli incontri sovrannaturali) sorge il santuario della Beata Vergine delle Grazie, innalzato all'indomani dell'apparizione della Madonna nel 1548 e meta di pellegrinaggi dalla Romagna e dalle vicine Marche.
Contiene, tra le altre opere, una tela, cara alla devozione popolare, del pittore rinascimentale fanese Pompeo Morganti, che riassume coi pennelli le deposizioni processuali del giovane e della contadina Antonia che ebbero la visione della Vergine vestita di bianco.
Interessante anche il paesaggio che riproduce quello reale delle colline di Montegridolfo, il cui castello è chiaramente riconoscibile dalle mura e dalle torri.
Il prodotto del borgo
È l'olio extravergine di oliva che proviene dai numerosi frantoi disseminati sul territorio.
Il piatto del borgo
I migliori piatti della tradizione romagnola: tagliatelle al ragù e ai funghi, strozzapreti pasticciati, agnello, coniglio e piccione al forno, salumi e formaggi.
Il Trebbiano e il Sangiovese di Romagna sono i vini che ottimamente si sposano con i sapori della collina.
Fonte: Club I borghi più belli d'Italia, 09 Agosto 2010