Furore, il paese che non c'è

Borgo | Terra Furoris, ovvero Terra del Furore, è l'antico nome del paese e trae origine dalla furia delle acque del mare all'interno del fiordo.

 

La Storia

Età romana, nel tardo Impero i Romani fuggiaschi inseguiti dai Barbari si rifugiarono su queste montagne e vi fondarono i primi insediamenti, tra cui Furore. Per la sua conformazione, quel pugno di case non fu espugnato nemmeno al tempo delle incursioni saracene.
1319, un atto notarile nomina per la prima volta la chiesa di S. Giacomo, risalente all'XI secolo. è intorno a questo edificio religioso che si forma il primo insediamento sul pianoro di Furore, la cui storia sarà poi compresa in quella della Repubblica di Amalfi.
1348, si rifugiano negli orridi anfratti della Terra del Furore alcuni "Sacconi", cioè gli eretici, seguaci di Meco del Sacco da Ascoli Piceno, sfuggiti alla Santa Inquisizione perché accusati di praticare il libero amore.
XV sec., dalla metà del Quattrocento il borgo appartiene alla nobile famiglia dei Summonte, tra i cui membri spicca Pietro, sacerdote, amico degli umanisti Iacopo Sannazaro e Giovanni Pontano, con cui fondò a Napoli la famosa Accademia Pontaniana, uno dei centri culturali più importanti sotto gli Aragonesi. Altri due Summonte, entrambi di nome Giovanni Antonio, furono insigni storiografi: uno nel Cinquecento e l'altro nel Settecento. Quest'ultimo nel 1748 pubblicò una ponderosa storia del Regno di Napoli.
XVII sec., risalgono a quest'epoca le strutture proto-industriali annesse all'antico borgo marinaro e da poco recuperate.
1950, Furore, da sempre luogo caro agli dei, è teatro della storia d'amore tra Roberto Rossellini e Anna Magnani.


Un giardino pensile proteso tra mare e montagna

Seguendo i tornanti collinari di una strada incisa nel verde (l'Amalfi-Agerola) si arriva a Furore, "il paese che non c'è". Infatti, più che un paese, è uno sparso abitato, dove le case non stanno una accanto all'altra ma spuntano da costoni di roccia.

La loro funzione era di presidiare la campagna. Il borgo del Fiordo, invece, è ai piedi della rupe, lungo la statale Amalfitana fra Amalfi e Positano.

La Terra del Furore è l'altra faccia della costiera, quella "dove i rumori non sono altro / che una lieve imperfezione del silenzio". "Luogo caro agli dei - l'ha definito Katia Salvini -, un giardino pensile abbarbicato alla montagna e proteso sul blu del mare e del cielo".

Con le sue case sparse, sembra nato da un mazzo di carte sparpagliato dal vento. Sui ripidi fianchi del canyon, o su qualche omerica rupe discoscesa, potrebbe celarsi una divinità addormentata: un nudo fauno, rievocato dagli eretici dell'amore libero, o una sirena, avvistata da una scalinatella, da una barca sul mare o dal sentiero dell'agave in fiore.

Questo è Furore: un pozzo di desideri mitici, il respiro di una civiltà sul ciglio di una rupe pendente sul mare.
Edifici storici di pregio possono essere considerati, nel vallone interno del borgo, i due mulini e le due fabbriche di carta, interessanti esempi di archeologia industriale che utilizzavano la forza motrice dell'acqua.

Accanto a quest'area si trovano i monazzeni dei pescatori, vecchi depositi di attrezzi. L'arenile incuneato in questa profonda insenatura ha svolto nei secoli una funzione di approdo per le imbarcazioni. Il borgo dei pescatori dopo una lunga decadenza è ora completamente restaurato.

Singolare è la galleria d'arte en plein air costituita da oltre cento "muri d'autore", murales e sculture che fanno di Furore un "paese dipinto" che si racconta anche in questo modo.

Le chiese sono le uniche altre emergenze architettoniche: le quattro chiese di S. Giacomo, S. Elia, S. Michele e S. Maria, con i cupolini maiolicati dei loro campanili e gli affreschi recentemente venuti alla luce (un interessante ciclo di scuola giottesca in S. Giacomo).

Ma è l'ambiente, la principale attrattiva di questo paese-non paese incorniciato da bellissime le vedute: gli ulivi, le vigne terrazzate sul profilo dei monti, i pergolati dei limoni con le reti tese sui pali, i tetti rossi e le colorate maioliche dei piccoli campanili, i coloratissimi fiori dei rovi selvaggi, e il mare - azzurro, sempre presente, laggiù in fondo, nella curva dell'occhio.

Riassumono il panorama del luogo i muri sbrecciati e arsi di sole, le erbe alte dei campi non coltivati, le barche tirate a secco, i tornanti della strada: altri punti di riferimento di un paesaggio sottratto all'abbandono, che può tornare a vivere in forza del suo stesso mito.

Il prodotto del borgo

Il pomodorino al filo, detto piennolo, e la vite (la Doc Costa d'Amalfi, sottozona Furore, che è Città del Vino) coltivata a mezzacosta sui fianchi scoscesi della collina, sono i frutti di questa terra generosa che ha "i piedi nell'acqua, il volto baciato dal sole e i fianchi sinuosi di una bella donna".

Il piatto del borgo

Piatto-monumento è totani e patate, ideato dal contadino-pescatore per sfamare la numerosa famiglia (in caso di necessità, bastava aggiungere patate).

è questa una cucina che cattura e mescola profumi di terra e di mare: il migliaccio, la minestra maritata, la caponata sono altri piatti tradizionali serviti nei numerosi ristoranti del luogo.