Cervo, sogni d'oltremare
Cervo, sogni d'oltremare

Borgo | Trevi è città antichissima ma dall'incerto etimo. Citata già in Plinio come Trebiae, il suo nome potrebbe riferirsi alla dea Diana, chiamata Trivia, o nascondere un ancor più arcaico significato d'origine osco-umbra riferito a un luogo particolare..

 

Nel tardo Cinquecento il passaggio dal latino al volgare ha determinato la corruzione del Servo originario in "Cervo".

La Storia

• 181 a.C., le legioni romane conquistano la Liguria determinando lo sviluppo della via Julia Augusta (l'attuale via Aurelia). Grazie alla sua posizione elevata e alla presenza di alcune sorgenti e di un porticciolo naturale, anche il colle sul quale sorgerà Cervo viene scelto come sede di una mansio.

• 950-1000 ca., il castrum Cervi è rocca e feudo dei marchesi di Clavesana e nel sec. XI è già chiuso da mura.

• 1204 Cervo si proclama libero comune ponendosi sotto la protezione della repubblica di Genova.

• 1330, Genova assegna Cervo in feudo ai Cavalieri di Malta, che la vendono l'anno dopo al marchese Lazzaro Doria. Conquistata dal marchese Enrico Del Carretto, discendente dei Clavesana, soltanto nel 1384 ritorna ai Genovesi, cui rimarrà sempre fedele, tanto da ottenere nel 1425 il diritto di eleggere direttamente il proprio podestà.

• XVI sec., Cervo patisce l'incubo dei turchi sia sulla terraferma, mai sufficientemente al riparo dagli improvvisi sbarchi dei predoni saraceni, sia in mare aperto, dove la sua irresistibile vocazione marinara la porta a spingere le sue fragili "coralline" tra la Corsica e la Sardegna, con il prezioso carico che attira i pirati. Soltanto dopo la battaglia di Lepanto del 1571, il pericolo saraceno si fa meno pressante. Comincia allora l'epoca d'oro di Cervo, che si arricchisce con la pesca del corallo e il commercio dell'olio.

• 1815, il Congresso di Vienna assegna la Liguria ai Savoia.

La chiesa venuta dal mare

La visita inizia dalla Salita Gramsci, con la Porta Marina della Montà, che segna fino alla fine del XVIII sec. il limite meridionale delle mura del Castello.

Il palazzo del Cinquecento sopra i portici bassi e stretti riecheggia le costruzioni genovesi dell'epoca.

Salendo, s'incontra Palazzo Morchio, ora municipio, appartenuto a Tommaso Morchio, ammiraglio comandante di dieci galee genovesi, che nel 1371 conquistò alla Repubblica l'isola di Malta e la città di Mazara in Sicilia. è della fine del sec. XVII con un portale d'ardesia di stile genovese. Giunti al piano, si entra nella cerchia delle mura e si continua la salita voltando poi a destra per lasciare la via Romana.

Procedendo, s'incontrano le imponenti mura che costituivano gli spalti del Castello nei secoli XV-XVI.

Nella piazza si apre la maestosa e barocca Chiesa di San Giovanni Battista, detta "dei Corallini" perché edificata con i proventi delle compagnie di pescatori che esercitavano, la pesca del corallo nei mari di Corsica e Sardegna. In realtà, le offerte per la fabbrica arrivarono da tutti gli abitanti - pescatori e marinai, armatori, possidenti, commercianti di olio, artigiani - che contribuirono anche a trasportare quassù dalla spiaggia, a spalla d'uomo, le opere d'arte e i preziosi marmi giunti via mare.

L'originale facciata concava del tempio domina un ampio braccio di mare con straordinario effetto scenografico e la sera il suo campanile sembra un faro che indica l'approdo ai naviganti.

La chiesa fu iniziata nel 1686 e conclusa nel 1734 dal figlio dell'architetto Giobatta Marvaldi, l'autore del progetto, morto nel 1706 a lavori in corso.

Trent'anni (1758-1778) è invece durata la costruzione dell'elegante campanile, disegnato dal pittore Francesco Carrega. Entrati in chiesa, una scritta in latino ricorda: "Dal mare assunta / sorsi su questa punta". I corallini hanno fatto le cose in grande: sono splendidi l'altare maggiore del Pittaluga, con il suo tabernacolo di scuola lombarda dell'inizio sec. XVI e il pulpito in marmo bianco con bassorilievo della Pietà (sec. XVI), l'intaglio del coro ligneo dietro l'altar maggiore, gli affreschi sul coro del Carrega, e il crocifisso ligneo sopra l'altar maggiore, un capolavoro intagliato e scolpito del Maragliano.

Usciti dalla chiesa dei Corallini, si sale la gradinata a destra e s'imbocca via Grimaldi-Salineri, percorsa da archivolti ogivali o a tutto sesto che ornano le entrate delle abitazioni.

Tutta la zona conserva caratteristiche medievali. Ci si trova in breve in piazza Santa Caterina e davanti al Castello che nel XII sec. i marchesi di Clavesana edificarono come propria dimora dotandola di tre torrioni a pianta circolare e inglobando l'originaria torre altomedievale che sorvegliava la via Julia Augusta. Nel sec. XVII l'edificio fu sventrato e diviso in due parti: la superiore a volta unica conserva un affresco raffigurante Santa Caterina, l'inferiore, ridotta, ha ospitato l'ospedale e oggi è sede del Museo Etnografico.

Si esce ora dalla Porta Bondai per godere di un bel panorama sulle valli di Cervo e di Diano. La chiesa in basso su un poggio è l'antica parrocchiale dedicata a San Giorgio di Cappadocia, il cui culto i marinai avevano appreso in Oriente all'epoca delle crociate. Fu abbandonata verso la metà del sec. XV perché esposta agli assalti barbareschi, nella sua linea conserva qualcosa di moresco.

Rientrati per la Porta Bondai nel cerchio delle mura, si scende per via Balleydier per ritrovarsi poco più avanti di fronte all'omonimo Palazzo, bella costruzione settecentesca affrescata dal Carrega.

Arrivati al punto pianeggiante della strada - che si chiama Romana perché di qui passava la via Aurelia - si è in breve all'Oratorio di Santa Caterina, soffocato in ogni parte da costruzioni che in epoca medievale per penuria di spazio e motivi di difesa venivano addossate le une alle altre. Edificato in pietra a vista intorno al sec. XII-XIII, è un classico esempio di struttura romanica in origine a croce latina.

Molti sono i palazzi padronali che testimoniano la passata agiatezza della popolazione e inducono a vagabondare nei carrugi con gli occhi in su: quelli della Meridiana, della Merla e i settecenteschi palazzi Viale, De Simoni, Alassio e Arimondo.

Ma è soprattutto il borgo nel suo insieme ad emozionare: i giochi d'ombra tra i vicoli stretti, gli alti archi, i saliscendi mozzafiato, gli accordi di pini e ulivi sullo sfondo, lo scoglio accarezzato dal mare trasparente, il mandorlo in fiore, il profumo del timo.

Il prodotto del borgo

Il prodotto principe è l'olio extravergine di oliva con i suoi derivati: olive taggiasca in salamoia, paté di olive.

Gli ulivi sono quelli delle colline alle spalle del borgo.

Da un vitigno importato da Candia si ricava poi il vino bianco Vermentino.

Il piatto del borgo

Pesci e crostacei forniti dal mare.